Una giornata a Kundermuria

5 ottobre, ore 2.14, Corwyn, castello dell’Alcazar
dalamarDalamar stava seduto davanti a uno dei sui figlioli. Mosse il cavallo e fisso il suo avversario. Lo zombie era immobile, con lo sguardo perso nel vuoto della buia cripta sotterranea dell’Alcazar. Dalamar aspetto a lungo una contromossa, poi, deluso, ordinò personalmente al morto di mangiare con l’alfiere. Tutto preso dalla nuova situazione, alla ricerca di una buona strategia scacchistica, udì allimprovviso una voce dall’oscurit. Poteva essere una voce femminile, ma molto bassa, oppure maschile ma estremamente sensuale: “Dalamar! Sono la Morte, la tua Signora!”. Dalamar roteo le palle degli occhi e proferì: “Ciao, veh!”. La voce continuò. “Ascolta il mio comando: esci dalla cripta, sali le scale e raggiungi il cortile interno del castello. Troverai molti pipistrelli volare nella notte. Uccidine uno senza danneggiarlo fisicamente. Conservane il cadavere. Darai l’ordine di costruire una tua cripta personale nel sottosuolo del castello: a dieci metri di profondità farai scavare una stanza pentagonale, con un altare ornato da teschi e serpenti scolpiti. Appenderai il pipistrello morto alla parete dietro all’altare. Ogni notte adorerai questa mia effigie e le offrirai un sacrificio umano. Da domani notte prenderai a evocare un grosso numero di non-morti. Così fino a quando io lo vorrò. Dalamar, ricorda che io punisco chi mi tradisce nei modi più strani. Siimi fedele.” In quel momento Dalamar sentì qualcosa rotolare giù per le scale. Un oggetto sferico gli si fermò al piede imbrattandolo di un liquido scuro. Una testa. L’Undicesimo Principe la sollevò per i capelli. Era la testa di Lord Fender McLain. Dalamar uscì in cortile e fece quanto ordinato dalla Morte. Poi sali alla camera di Fender e lo trovò vivo e dormiente. Il giorno seguente ordinò a uno degli ingegneri di Fender di iniziare i lavori e commissionò uno splendido altare al migliore scultore di Corwyn.

7 ottobre, ore 6.02, Dania, Alto tempio di Bonaur
Jotaro indossò la tunica da officiante. Da meno di ventiquattr’ore era stato nominato a capo del Sacro Ordine dei Guaritori di Bonaur, ma era la notte appena trascorsa a catalizzare la sua attenzione. Uscì dalla sua sala privata e, giunto nella cappella, sedette e iniziò le Lodi mattutine. Alcuni monaci badavano al fuoco di candele e torce, mentre le suore preparavano il necessario per il rituale del Risveglio. Giunse allora il Patriarca Cabal, dall’aria insolitamente cupa. Jotaro gli si avvicinò e gli bisbigliò qualcosa. Un’ora più tardi si ritrovarono nella camera personale di Cabal. “Ho fatto uno strano sogno stanotte”, iniziò Jotaro. “Un angelo di Bonaur, sfavillante di luce e armato di spada e scudo fiammeggianti, mi ha messo in guardia contro un pericolo incombente sulla città di Corwin. Mi ha chiesto di recarmi al castello di Fender e di vegliare su quella gente e sul loro Signore.” “Lo stesso sogno ha agitato anche la mia notte; l’angelo mi ha dato potere sui demoni, in caso ne avessi bisogno. Credevo si trattasse di una sciocca visione dovuta al vino di ieri sera, ma se tu mi dici che abbiamo visto le stesse cose…” “Non il vino mi ha dato questo!” Jotaro mostrò a Cabal un sacchetto di lana grezza chiuso con un legaccio. “L’ho trovato sul mio letto stamani; nel sogno me lo affidava l’angelo.” Aprirono il sacchetto. Esso conteneva una polvere d’un azzurro intenso. Subito l’aria attorno a loro divenne secca e fresca; sui bordi del sacchetto si formarono brina e ghiaccio. “Partiamo oggi stesso”.

9 ottobre, ore 16.55, Corwyn, Castello dell’Alcazar
Fender sedeva distratto e annoiato sul trono nel salone dei ricevimenti dell’Alcazar. “Fate entrare il prossimo straccione.” Un vecchio si trascino’ a pochi metri dal trono. In una mano stringeva un bastone e nell’altra una pergamena arrotolata. Fender fissò l’uomo e ne analizzò l’aura. Percepì allora una straordinaria forza magica scaturire dalla pergamena. Sollevò una mano e disse: “Fermo, vecchio. Cosa mi porti?” “M’inginocchio alla tua potenza, Signore. Ho bisogno della tua misericordia. Mio figlio, un giovane e abilissimo guerriero, stimato e amato in città’, scomparve sette anni fa, dopo aver vinto il torneo tradizionale di Corwin. Allora pensai a un colpo di testa di un ardimentoso avventuriero. Pochi giorni fa, pero’, un viaggiatore ospite della mia casa mi ha detto la verità: la mente di mio figlio è stata rapita da un mago malvagio che da allora lo tiene in schiavitù. Il mago abita in una torre a un giorno di cammino da qui.” “Entro il mio territorio? Chi e’ costui?” sbottò sorpreso Lord McLain. Meditò alcuni istanti, poi: “E cos’è quella pergamena?” “Mio signore, questa è per te; un mio avo la preparò. Essa contiene molta magia e potrà esserti utile nell’adempimento di questa missione, se accetterai la mia preghiera. Signore ricorda: la pergamena non dev’essere letta ora, ma solo quando ciò sarà strettamente necessario; tu capirai quando il momento sarà venuto.” Fender si fece consegnare la pergamena e chiese altre informazioni sulla posizione della torre. Poche ore dopo giunsero all’Alcazar Jotaro Kujo e Cabal. Venuti a conoscenza della piccola vicenda che Fender si apprestava a risolvere, insistettero per partecipare alla missione.

10 ottobre, ore 10.24, Contea di Corwyn
Lord Fender McLain, Ash R.F., Dalamar the Weaver, Cabal e Jotaro Kujo partirono per un piccolo paesino a sud-est di Corwyn. Fender era accompagnato da un mago mutante suo servitore e sua creatura; Dalamar per l’occasione si era circondato di sedici teschi volanti ed era costantemente seguito da un Mietitore Oscuro; con Jotaro erano due paladini dell’Ordine: Geminiano e Prospero. Giunti che furono, chiesero informazioni sulla famigerata torre. “Un tempo vi erano pascoli, in quella valle. Poi arrivò quello strano gruppo di persone, guidate da un mago, credo. Edificarono la torre in pochissimo tempo, lavorando di notte. In questi anni, non ci hanno mai dato fastidi; ogni due o tre mesi vengono a procurarsi del cibo o piccoli attrezzi. Ma da allora non abbiamo più potuto avvicinarci alla torre: gli animali si spaventano e alcune carcasse sono state ritrovate. In quella valle l’atmosfera è strana e l’aria è imputridita. Alcuni avventurieri arrivano fin qui, passano la notte al villaggio e poi partono per la torre. Non ne sono mai tornati.” Così uno degli uomini del villaggio. Stava giungendo la sera, ma il gruppo decise di proseguire. Superata una cresta rocciosa il paesaggio mutò radicalmente. Alle loro spalle si lasciavano una tranquilla e buia serata autunnale. Davanti a loro, sotto un cielo rosso, si stendeva una valle morta e arida, con al centro la torre che cercavano. Si avvicinarono a una trentina di metri. La costruzione era cilindrica, alta circa diciotto metri e larga dieci o dodici. C’erano poche piccolissime feritoie circolari e una grande apertura, più in alto; in essa vedevano dondolare ritmicamente una grossa campana di bronzo; ne potevano scorgere il battaglio, ma non ne sentivano il suono. Cabal aprì un portale demoniaco ed evocò una creatura infernale a servirlo, poi iniziò la trasformazione in drago. Fender comandò al suo servo di badare al cavallo e di rimanere fuori dalla torre. Jotaro e Ash si avvicinarono alle porte d’entrata. In quel momento si udì un boato; tutti guardarono in alto: una fiamma d’almeno dieci metri usciva dal tetto della torre. Le porte si spalancarono e attraverso esse si vide che il fuoco veniva risucchiato dalla base della costruzione e scompariva poi definitivamente. Ora si sentiva distintamente il suono della campana. Cabal tornò istantaneamente e involontariamente in forma umana. Le loro magie sembravano spente o attutite. C’era la quiete, con il sottofondo delle campane. Fender si concentrò e percepì che qualcosa aveva addormentato i loro poteri magici. Jotaro si allontanò dalle porte ed esse si richiusero. Ora il suono non si sentiva più. Gli incantesimi ripresero a funzionare.
“Sono le porte?”
“No, è la musica di quella campana”
“Io entro”. Era Ash a parlare. Si avvicinò alle porte, esse si aprirono ed egli entrò. Era dentro. La base della torre era spoglia: c’era solo la rampa di scale che ne costeggiava la parete e saliva. Il pavimento era a imbuto; al centro vi era una botola circolare, di metallo borchiato e con l’apertura a spirale. “Da lì è uscito il fuoco che spuntava dal tetto”, pensò il Lich. Guardò in alto e non rimase a bocca aperta solo per la proverbiale freddezza dei non-morti.